Normativa

Tutte le tappe da percorrere per ottenere i benefici previsti dalla legge a favore dei malati di epatite: un percorso tracciato dagli esperti della COPEV  

La domanda di indennizzo

La legge 210 del 1992 prevede per chi ha contratto l’epatite a causa di una trasfusione di sangue, uso di emoderivati o (se si tratta di medici o infermieri) durante il servizio sanitario, il diritto a un indennizzo in denaro. La prima cosa da fare, evidentemente è presentare la domanda di indennizzo alla ASL. 

Le domande presentate entro il 28 luglio 2000 sono tutte valide: da quella data, le domande vanno presentate entro 3 anni dalla diagnosi di epatite. Per i medici o gli infermieri che si sono ammalati di epatite, il diritto all’indennizzo decorre dal 20 novembre 2002. 

Il riconoscimento dell’indennizzo

Secondo i casi, le domande di indennizzo vengono esaminate da una Commissione medica istituita presso gli Ospedali militari oppure dal Ministero della Salute. 

Quando, come avviene spesso, la domanda non viene accolta, sono possibili altre iniziative:

  • Si può presentare ricorso al Ministero della Salute entro 30 giorni da quando si è venuti a conoscenza del rigetto della domanda.
  • Nel caso in cui anche il Ministero della Salute dia un parere sfavorevole, è possibile impugnare questa decisione di fronte al Tribunale civile. La causa, però, va iniziata entro 16 mesi da quando è stato presentato il ricorso al Ministero della Salute.

L’esperienza accumulata dal Servizio di tutela giuridico-legale della COPEV insegna che – muovendosi per tempo e nei modi previsti dalla normativa in vigore e nonostante i ritardi accumulati dal Ministero nel rispondere ai ricorsi – è possibile ottenere dal Tribunale il riconoscimento di domande di indennizzo respinte sia dalla Commissione medica che dal Ministero. 

Il pagamento dell’indennizzo e degli interessi

Attualmente l’indennizzo va da un minimo di 1.094,61 euro al bimestre fino a un massimo di 1.248 euro al bimestre, secondo la categoria di danno (sono complessivamente 8) riconosciuta al richiedente. La ASL o il Ministero pagano anche gli arretrati dell’indennizzo, a partire dal mese successivo a quello in cui è stata presentata la domanda. 

Benché per legge siano tenuto a farlo, invece, né le ASL né il Ministero concedono di norma gli interessi legati alle somme arretrate. Tuttavia l’Ufficio legale della COPEV ha ottenuto dal Tribunale numerose sentenze che hanno obbligato il Ministero a concedere anche gli interessi.

In caso di morte

Nel caso in cui l’ammalato muoia per epatite, i parenti più vicini (la moglie o il marito, poi i figli, da ultimo i genitori) hanno diritto a chiedere un indennizzo unico di 77.468,53 euro. Questa cifra è dovuta anche se il malato percepiva già l’indennizzo quando era in vita. 

L’iter burocratico per l’indennizzo in caso di morte è lo stesso previsto per i malati ancora in vita: ma i requisiti necessari perché la domanda venga accolta sono diversi e più severi. 

Il risarcimento del danno biologico

In seguito ad alcune recenti sentenze, si è aperta per i malati di epatite cronica la possibilità di chiedere, in aggiunta all’indennizzo, anche il risarcimento del cosiddetto danno biologico. Questo consiste nella riduzione dell’integrità psico-fisica, espressa in termini percentuali: per esempio, mentre una persona sana ha un danno biologico pari a zero, una persona affetta da epatite ha un danno biologico del 15-20%. 

La domanda di risarcimento va rivolta all’Ospedale dove è stata fatta la trasfusione. Se l’intervento è avvenuto prima del 1990 è preferibile fare la causa al Ministero. Requisito essenziale per ottenere il risarcimento è che non siano trascorsi più di 10 anni dal momento in cui è stata emessa la diagnosi di epatite oppure da quando si è certi che l’epatite deriva dalla trasfusione.